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MAGAZINENEWS

INTERVISTA LA VISION

LUKAGEE | 06/05/2021

Bresciano, classe 1985, da diversi anni Marco Sissa ha una qual certa dimestichezza per quanto riguarda le produzioni dance e le hi. Quelle di Fabio Rovazzi, Benji & Fede, Get Far e tanti altri portano difatti anche la sua firma. Non contento, da un annetto ha esordito con un progetto tutto suo, LA Vision, e i (grandi) risultati non si sono fatti attendere, in radio e nelle classifiche. Al momento è sicuramente uno dei produttori più importanti che ci siano in Italia, così come è sempre più considerato all’estero. È quindi il momento giusto per intervistarlo per farci raccontare aneddoti e segreti del suo successo.

Ciao Marco, benvenuto innanzitutto su Radio Emotions! Per iniziare, non posso che farti i complimenti per l’ottimo momento che stai vivendo come produttore, il tuo remix di “Underwater Love” per Alok & Timmy Trumpet è ai primi posti delle classifiche e “Somewhere” con Tallisker è ancora in rotazione…

Grazie a voi per l’invito!

Come e quando nasce il tuo progetto LA Vision? Molte volte ho pensato che per un produttore rimanere sempre dietro le quinte può andare stretto, quindi ben vengano i progetti personali se c’è qualcosa di valido che si vuole esprimere, musicalmente. È il tuo caso?

Il progetto LA Vision è nato nell’estate del 2019. All’inizio lo avevo chiamato The Vision, la visione, una parola ricorrente nei miei pensieri da ormai molti anni. Prende ispirazione da due citazioni di due gruppi che amo, i Queen e i MGMT – Queen One Vision e MGMT, time to pretend “we’ve got the vision, now let’s have some fun” – e dal concetto in sè di visione, ciò che alimenta la mia musicalità. Non cerco di considerare i vari aspetti che competono alla realizzazione di un brano, ovvero arrangiamento, scrittura, recording e produzione, e alle diverse figure professionali che ne derivano, ma cerco di mettere al centro un disegno musicale completo, un sogno di cui cerco di ritrarre i contorni nel modo più vivido possibile; tendo più alla fascinazione dei generi passati, al calore di un ricordo, alla visione d’insieme di qualcosa che già riecheggi nella mia testa e a cui devo soltanto dare una forma, per poi arrivare alla direzione che ho intenzione di prendere come persona e come musicista. Soltanto noi stessi e nessun altro può vedere davvero fino a dove possa portarci un’idea. Ho deciso di iniziare il progetto non per sete di conferma personale o smania di protagonismo, quanto per la reale necessità di slegarmi da tutto e da tutti per perseguire appunto la mia visione musicale. Tante volte in questo lavoro (soprattutto nella dance) si sovrappongono una serie di cliché, schemi prefissati, ambizioni a corto raggio, che tendono ad appiattire il risultato finale, il tutto infarinato da una buona dose di scarsa preparazione che non manca mai, anche se non mancano importanti eccezioni ed eccellenze. Io voglio solamente sentirmi libero, essere padrone al cento per cento della mia musica e usare il linguaggio dell’elettronica per dare un vestito alle mie canzoni, ma allo stesso tempo ben vengano citazioni a tutti i generi che amo: rock, classica, pop, blues e jazz. Per quanto riguarda la scelta finale del suffisso LA è presto detto: Il nome The Vision purtroppo era già in calce ad alcuni produttori inglesi, allora il mio manager (ciao Joe!) ha suggerito “LA”, dato che molti dei miei testi sono ambientati nella Los Angeles degli anni 90. Non ultimo suona sensato anche pronunciato all’italiana, alla francese e anche in spagnolo, che male non fa!

L’esordio con questo “moniker”, in ogni caso, non poteva essere migliore, “Hollywood” è stato sicuramente uno dei successi dell’estate 2020. Come è nata la collaborazione con Gigi D’Agostino?

Hollywood mi ha dato molte soddisfazioni. La più grande è stata quella di vedere le persone rivivere la stessa sensazione che provavo quando ho scritto il brano. Un ricordo, la spensieratezza di fine anni 90, uno stereo e la musica di D’Agostino ad accompagnare una calda estate con gli amici. Abbiamo mandato l’idea di questa canzone a D’Agostino tramite l’intuizione di Giacomo Maiolini (Time Records), il quale si é innamorato del brano perché ha visto un legame tra passato e futuro: si è ritrovato molto nella canzone e gli é piaciuta a tal punto da far nascere la volontà di terminarla insieme. Il resto é già un piccolo pezzo di storia della dance recente, non tanto per il successo in sé, quanto per la capacità di alcuni brani di legarsi indissolubilmente alle nostre esperienze passate e presenti, un’alchimia rara e alla quale ancora oggi cerco di dare un significato senza riuscirci del tutto.

Hai prodotto anche dischi pop ma sempre strizzando l’occhio alla dance. Quanto cambia il tuo metodo di produzione rispetto al genere quando sei in studio?

Non considero mai il genere di partenza, ma cerco di soffermarmi sull’intellegibilità del brano, della musica in sè e delle parole. Cerco di capire quale emozione ne scaturisca e successivamente stresso il mio cervello affinché trovi la chiave di lettura più accessibile per l’ascoltatore. Questa analisi è corretta in quanto trovo la dance un vestito ideale in molte occasioni per dare energia e impatto sonoro alla produzione, fermo restando che comunque un brano arrangiato solamente con piano e voce è e sempre sarà tutto ciò che serve per raccontarci la natura più intima della canzone, in un momento di linguaggio emotivo primordiale dall’impatto davvero fortissimo, almeno per quanto mi riguarda. Quando ascolto musica sento parlare l’universo.

Esiste secondo te una “ricetta segreta” per produrre una hit nel 2021? Non mi piace tirare in ballo i “dorati” anni novanta (perché lo fanno tutti) ma rispetto a quel decennio cosa è cambiato, da questo punto di vista?

Innanzitutto la musica é sempre figlia del suo tempo: racconta il sociale, rompe le regole o ci si appoggia poco sotto per non far crepare quel leggero soffitto di cristallo. Gli anni novanta sono stati formidabili. Ma come anche gli 80, 70, 60, direi più o meno tutti i decenni hanno avuto qualcosa da raccontare. I nostri anni recenti un po’ meno, o per dirla tutta, testimoniano lo strano disagio in cui riversa il mondo occidentale: immagine, poca sostanza, perdita di valori. La musica però c’è sempre, ma oggi bisogna essere non bravi, ma incredibili per trovare il proprio spazio. Internet e l’accessibilità ai mezzi di produzione hanno creato una pesante biforcazione: chi non avrebbe dovuto fare musica inonda il mercato, ma dall’altra parte il prossimo Freddie Mercury ha trovato mezzi più accessibili per inseguire il proprio sogno, e magari alla fine riuscirà a realizzarlo!  La ricetta in quanto tale non esiste, se non fare il proprio lavoro al meglio, con passione e serietà: la musica è per prima cosa unione, interconnessione, conversazione, emozione, un linguaggio. Chi ne è padrone ha il potere di rendere il mondo un posto migliore o peggiore, far ridere o piangere, innamorare o dimenticare, in una danza nuova ma allo stesso tempo sempre uguale, perché parla di noi. E l’uomo non è mai cambiato, si è semplicemente evoluto.

Ho notato comunque che in diverse occasioni melodie e suoni dei tuoi lavori riportano alla italodance di quel periodo, l’ultimo esempio è “Simple Song” del lituano Gaullin, prodotta da te…

Tutta la fase iniziale de progetto LA Vision verte intorno al racconto di una ragazza che verso la fine degli anni novanta decide di lasciare il suo paese nell’Europa dell’Est per cercare a Los Angeles fortuna come attrice. “Simple Song” è a tutti gli effetti il secondo vero capitolo di Hollywood – uno spin off come si usa dire nel gergo televisivo – poiché racconta da un punto di vista esterno gli eventi accaduti in Hollywood. Leggendo i due testi si scoprono alcuni aneddoti inediti della storia iniziata con Gigi D’Agostino, e che sicuramente riecheggeranno anche nei prossimi brani. Simple Song sarebbe dovuta essere una collaborazione poi non concretizzatasi col mio amico Gaullin; sono molto felice di aver concluso con lui la produzione e aver visto prendere forma questo secondo racconto, naturalmente in pieno stile fine anni 90/inizio 2000, anni nei quali gli eventi accaduti fanno da colonna sonora alla nostra sventurata protagonista.

Come vedi la scena dance al momento, a livello italiano e internazionale?

Non seguo troppo da vicino la scena dance, rappresenta a suo modo un riferimento e una fonte di ispirazione, ma non riesco a sentirmi parte di questo movimento a tutti gli effetti. Per me la dance è un pretesto, è un giubbotto di pelle con le borchie, lo indosso ma non fa di me un metallaro. Lo amo, oh quanto lo amo, ma l’ho trovato in un armadio, preso in prestito da chi è venuto prima di me. Non amo le etichette, indosso le mie visioni. Non sono un dj, sono un cantautore che usa gli strumenti che ha trovato per dare forma alla sua musica. Gioco con i suoni e con i ricordi, amo essere avanguardista come essere un tormentato nostalgico. La scena italiana si distingue da sempre per i suoi produttori, ma negli ultimi anni si è confuso molto il songwriting con il sound design, o meglio, si è pensato che una buona produzione potesse far passare liscia una canzone di dubbia scrittura, quando invece è più facile che avvenga il contrario. Ci vuole gusto e preparazione per distinguere l’aria fritta dai prodotti validi, e purtroppo in Italia a tal proposito c’è ancora un certo divario con il resto del mondo: una distanza che si va fortunatamente limando. Bisogna spronarsi a essere migliori! Non fare i compitini! Il mondo vuole performer preparati! Diamoglieli! Come hanno saputo fare Calvin Harris e – per restare in Italia – i Meduza. Ad ogni modo, ad ognuno la propria missione. La mia è vivere ogni giorno di musica sperando che un giorno la musica possa vivere di me. Nient’altro.

C’è qualche produttore che stimi particolarmente e con cui, magari, collaboreresti volentieri nel prossimo futuro?

Stimo molte persone, stimo tutti gli artisti che fanno del proprio meglio per esprimersi. Amo il movimento della scena lituana, non tanto per il sound in sé (molto bello, tra parentesi), quanto per la semplicità e la genuinità con le quali lavorano insieme. Sono amico di Dynoro, col quale non manchiamo mai di brindare a suon di whisky quando ci si vede, ma anche di Lucky Luke e Gaullin, entrambi bellissime persone; non sento di dover lavorare per forza con loro solo perché in una simile orbita musicale, ma quando succede è doppiamente un piacere. Mi piacerebbe collaborare con il succitato Calvin Harris, ma più che con i produttori vorrei lavorare con persone che vivono come me la fantasia sfrenata e il loro amore per la musica: cantanti e musicisti in primis, ma ben vengano anche i produttori o gli artisti che si autoproducono. Vorrei scrivere con Chris Martin dei Coldplay, pagherei per trovarmi al piano con Elton John e Stevie Wonder, come produrre qualcosa con Max Martin. Pian piano, ma non troppo piano, adelante ma con juicio.

Quanto ti ha ostacolato, o al contrario aiutato, il periodo di lockdown che abbiamo vissuto? 

Mi è mancato non poter vedere con gli occhi la gente divertita con la mia musica, ma questa pausa forzata mi ha dato modo di mettere insieme i pensieri e dare ordine a quello che voglio fare: così ho avuto la sensazione non ci siano stati veri e propri momenti persi. La mia più grande soddisfazione in questo periodo è stata pensare che i miei brani – anche soltanto per un minuto – abbiamo potuto allietare la vita delle persone in un periodo così difficile.

In giro ci sono tanti bravi giovani produttori che magari non riescono ad emergere. Qual è il tuo consiglio per loro?

 Decidete chi vogliate essere prima che sia qualcun altro a farlo per voi. Non abbiate paura, credete nella vostra visione ma sappiate esserne all’altezza, nutrendola con conoscenza, dedizione, preparazione. Non fermatevi mai davanti a nessun ostacolo. Spesso chi raggiunge il traguardo non è per forza il più bravo, ma chi non ha mai mollato. Come ricordava Nelson Mandela, un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso.

Grazie Marco per la disponibilità, e in bocca al lupo per il proseguimento della tua brillante carriera!

Grazie a voi!

Luca “Lukagee” Giampetruzzi

Written by LUKAGEE





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