CAMELPHAT | LA RECENSIONE DEL NUOVO ALBUM “SPIRITUAL MILK”
Al giorno d’oggi pubblicare ed acquistare un album è abbastanza insolito.
Grazie al metodo di fruizione della musica moderna non c’è più bisogno di comprare un disco in formato fisico per ascoltarlo, basta andare su piattaforme musicali come Spotify dove puoi avere la possibilità di scoprire musica nuova gratuitamente. A questo va aggiunto anche che l’ascoltatore medio ha un’attenzione limitata nell’ascolto di musica. Si preferiscono dei brani semplici con una durata massima di 2 o 3 minuti al posto di composizioni complesse e ben articolate ed è anche per questo che nella musica moderna c’è una carenza di innovazione. Per fortuna ci sono artisti come gli inglesi CamelPhat che si distinguono dalla massa grazie al loro stile particolare e mettono voglia all’ascoltatore di “possedere” fisicamente il loro prodotto.
Il loro secondo album in studio, “Spiritual Milk”, pubblicato il 15 Settembre, non fa eccezione.
Brani che durano quasi tutti sui 4 e 5 minuti, sonorità tech-house ed elettroniche (tranne in alcune tracce), composizioni complesse e ben articolate: sono queste le caratteristiche di questo loro nuovo album che, personalmente, ho molto gradito, proprio nella sua complessità, tanto da acquistare il cd.
Non manca qualche brano un po’ più mainstream, ma sicuramente questo non è un disco adatto a chi ascolta soltanto la musica moderna che viene passata in radio.
Passiamo adesso all’analisi di ogni singola traccia dell’album “Spiritual Milk”:
1. Hope (5:50) = Si inizia subito con il pezzo più lungo del disco. La canzone parte con una estesa introduzione strumentale che già fa comprendere la complessità dell’intero progetto. La voce del cantante Max Milner viene messa bene in risalto in questo brano che ci impiega un po’ a carburare, ma che risulta essere sicuramente un buon pezzo d’introduzione.
2. Rennen (2:33) = Da una produzione molto complessa passiamo subito ad uno dei pochi pezzi “mainstream”. Pianoforte, violini e la voce di Sohn si uniscono ad un beat molto potente. Il suo potenziale radiofonico è molto alto.
3. Home (3:56) = Qui ci troviamo di fronte ad una traccia più cupa rispetto a quanto sentito in precedenza. A dominare è il potente beat rispetto all’ottima prestazione vocale di Rhodes. Uno dei pezzi più interessanti ma anche più complessi dell’album.
4. The Sign (5:25) = La quarta traccia è realizzata in collaborazione con uno dei dj più in voga del momento: l’italiano Anyma. Un pezzo che unisce molto bene lo stile tech-house dei CamelPhat con le sonorità più Techno dell’artista italiano.
5. Compute (4:24) = Sonorità elettroniche e voci robotiche che ricordano i Kraftwerk vengono mescolate con un beat molto potente, tutto da ballare. In pista sicuramente avrà un buon effetto, ma purtroppo la canzone risulta essere un pò piatta.
6. Many Times (4:20) = Uno dei brani migliori dell’album. La collaborazione tra i CamelPhat e i Mathame è la perfetta unione tra ritmiche cupe e sonorità più melodiche.
7. In Your Eyes (4:06) = L’introduzione quasi orchestrale e le strofe possono far pensare ad un brano più soft rispetto ai brani precedenti ma, dopo il ritornello, arriva il beat elettronico che sembra quasi andare in contrasto con il resto. Questo alternarsi di melodie leggere con arrangiamenti più duri rendono questo pezzo forse non tra i più memorabili, ma sicuramente uno tra i più complessi e sperimentali del progetto.
8. Turning Stones (4:32) = Uno dei brani più soft del disco. Un pezzo tech-house con una ritmica abbastanza lineare ma che presenta un interessante crescendo di suoni elettronici. Le variazioni nel beat sono pochissime; in questo caso è la melodia a far evolvere la canzone, arricchita anche dalla bella voce del cantante SOHN. Un brano easy listening di ottima fattura.
9. Primavera (3:53) = Segnata come collaborazione, in realtà questo è un remix di un brano dei PPJ (PÁULA, POVOA & JERGE). Non ci sono tante variazioni rispetto all’originale: è un remix che non “osa” ma, comunque, di buona fattura.
10. Bloom (3:30) = Brano Ambient strumentale che sembra quasi fare da interludio alla seconda parte dell’album. Personalmente la vedrei bene come una soundtrack di un film. Collocata come decima traccia dà l’idea di rappresentare un momento di relax prima della ripresa.
11. Colossus (5:37) = Con questa canzone tornano i potenti beat elettronici ritmati. Si tratta ancora una volta di un brano strumentale. Del resto chi produce musica EDM punta nel crearsi un suo stile basandosi principalmente sulle melodie e sul ritmo senza avere necessariamente bisogno di un’interpretazione vocale. Pezzo interessante con piccole variazioni di ritmo e melodia.
12. Embers (3:34) = Sintetizzatori e la voce di Julia Church si mescolano con dei ritmi quasi tribali in stile Sunnery James & Ryan Marciano. Saranno stati coinvolti pure loro nella produzione? Brano ipnotico sostenuto da un beat particolare che ti cattura.
13. Rain (4:13) = Un semplice beat tech-house unito ad una voce molto particolare. Pezzo semplice che non presenta molte variazioni, ma efficace. In poche parole: LESS IS MORE
14. What A Day (2:54) = Qui ci troviamo di fronte ad un brano molto insolito per il repertorio dei CamelPhat che, a mio parere, risulta essere uno dei pezzi migliori del disco. Una ballad molto intensa dove l’ottima voce di Delilah Montago viene messa in risalto dall’interessante accompagnamento musicale che unisce una melodia composta da piano ai violini e che può vagamente ricordare la musica di Adele se non fosse che ad un certo punto evolve verso l’elettronica.
15. Higher (3:37) = Voce molto acuta e ritmo che ti cattura, queste sono le caratteristiche della collaborazione tra i CamelPhat e i London Grammar. Ottimo pezzo con un buon potenziale radiofonico ma forse un pò troppo prevedibile.
16. Love Is Something (3:46) = Sicuramente questa è la canzone che si distingue di più dell’intero progetto.
Un album composto principalmente da sonorità tech-house ed elettroniche viene chiuso con un brano rock, dimostrazione che i CamelPhat sono un duo versatile, in grado anche di sperimentare sonorità per loro nuove. Una bella chiusura che sicuramente, ad un primo ascolto, vi farà un pò storcere il naso.
Leonardo Marchese