INTERVISTA A MAURO PICOTTO
Basterebbe solo tutto quello che ha fatto negli anni novanta e duemila, come dj e produttore, per annoverare Mauro Picotto tra i veri big della dance italiana. Innumerevoli produzioni di successo e un numero 8 nella classifica di Dj Mag nel 2001, posizione più alta raggiunta da un dj italiano. Negli ultimi tempi si è distinto nuovamente per una serie di produzioni che hanno riscosso un buon airplay nelle radio italiane mentre nei primi giorni del 2021 è arrivato un nuovo singolo, “Elisir Of Love”, e l’occasione è stata propizia…direttamente da Londra, abbiamo parlato con lui di presente, passato e futuro.
– Ciao Mauro, benvenuto innanzitutto. Partiamo parlando proprio del nuovo singolo “Elisir Of Love”, in collaborazione con Ayko, già decisamente apprezzato in Italia. Suoni dal sapore anni novanta ma sempre in chiave moderna e soprattutto una bella canzone. Sei soddisfatto di questa tua nuova produzione?
M.P. Ciao Luca, sono molto soddisfatto! E’ un disco nato in un momento giusto anche se stiamo vivendo una pandemia, ma proprio perchè le discoteche sono chiuse ho voluto dedicarmi maggiormente alla produzioni di pezzi radiofonici più che da club e questa è proprio una canzone che si lascia molto ascoltare. Hai detto bene, ha un sapore anni novanta alla Inner City e poi, grazie anche all’idea di Ayko che ha trovato la voce, ho sentito il bisogno di mettergli il “vestito” giusto. E’ stata un’ottima combinazione, a livello di produzione.
– Non solo dischi dance mainstream, anche produzioni club che hanno ricevuto ottimi riscontri come “Joga Bola”. Quanto è fondamentale per un produttore avere più “anime” musicali ed essere versatile? Avere uno pseudonimo con cui far uscire tracce più alternative sembra una costante degli ultimi anni (vedi Calvin Harris con Love Regenerator, David Guetta con Jack Back e tanti altri)…
M.P. Beh, se proprio vogliamo dirla tutta, tempo fa anche io usavo degli pseudonimi, come ad esempio Megamind, per le produzioni maggiormente da club. Alla fine però ho smesso di usarli perchè non mi vergogno di uscire con il mio nome e con la musica che mi piace produrre in determinati periodi, che sia mainstream oppure da club. Anzi, ti dico questo, che è una cosa che ripeto da tempo, produrre musica “commerciale” è molto più difficile che produrre musica da club, per quanto mi riguarda, perchè la musica da club la vivi e la “pensi” in discoteca, mentre quella pop-dance la devi produrre pensando che debba piacere a tutti. In ogni caso non mi faccio influenzare, quando vado in studio cerco sempre di cercare quei suoni, quelle melodie che rendano il disco fresco. Io stesso in passato ho infilato almeno 5/6 dischi consecutivi con un suono riconoscibile ma poi ho preferito non seguirlo più, perchè è giusto cambiare dopo un po’, quindi in ogni caso è comprensibile che molti big della musica di oggi cerchino di differenziare il loro prodotto.
– Diversi i produttori di successo al momento nel panorama dance mondiale. Ce n’è qualcuno che stimi particolarmente?
M.P. Prima hai citato Calvin Harris, di sicuro lui è uno di quelli che apprezzo molto e che ha un tocco particolare nelle produzioni. Penso però che più che parlare di singoli produttori, sia giusto sottolineare che è sempre il team a fare la differenza, come accadeva spesso anche nel passato. E’ chiaro che colui che esce con il disco “domina” sempre in studio quando si deve realizzare il brano, ma tutti i più grandi si avvalgono di uno staff di musicisti, cantanti o autori che sono determinanti quando si tratta di tirare fuori la hit. Io stesso ancora oggi giro per il mondo ma quando sono in Italia ad esempio collaboro con Cristian Piccinelli, Steven Zucchini e Riccardo Ferri per le mie produzioni.
– Il 2020 non è stato certamente un anno positivo per tutti ma paradossalmente per il genere dance le cose sono andate molto bene con diversi brani che hanno conquistato l’airplay radiofonico come “Hypnotized” di Purple Disco Machine, “Breaking Me” di Topic o “Head & Heart” di Joel Corry. Il trend positivo continuerà anche nel 2021 secondo te?
M.P. Io credo proprio di si, e lo spero, perchè se alla base c’è un brano con determinate caratteristiche che accende la “lampadina” in testa alla gente e trasmette emozioni il successo è assicurato. Certo, ci vuole anche un po’ di fortuna, come in tutti i campi, ma la strada tracciata dalla musica dance in quest’annata è sicuramente quella giusta.
– In ogni caso, parlando invece di discoteche, come pensi se ne verrà fuori dall’evidente crisi dovuta alla pandemia?
M.P. Io sono ottimista, però bisogna dire che al momento c’è tanta incertezza anche solo sul virus stesso, e anche se tutti speriamo che in questo 2021 si veda la luce in fondo al tunnel, io penso che per le discoteche come le intendiamo noi, quelle al chiuso, passerà ancora un altro anno. Su questo sono d’accordo con Fatboy Slim, purtroppo nelle priorità che ci saranno dubito che le discoteche saranno in prima fila, visto quanto già sono state dimenticate, ma avranno precedenza ristoranti, alberghi e tante altre attività. Magari però si potrà ricominciare dalle discoteche o i festival all’aperto, dove c’è perlomeno più possibilità di mantenere le distanze. Io per primo spero che tutto finisca domani, ma è una situazione difficile, bisogna essere realisti. Girare in centro a Londra e vedere tutti i negozi chiusi è davvero triste.
– Cosa è rimasto, come produttore e dj, del Mauro Picotto degli anni novanta e duemila?
M.P. Come ti dicevo prima, io ho sempre sentito l’esigenza di cambiare continuamente. Sono nato con la musica afro e ho vissuto praticamente tutti i generi, dalla italo-disco alla new wave, dalla house alla techno ma non mi è mai piaciuto, da produttore, fare un solo genere, mi ha fatto sempre sentire sminuito e quindi ancora oggi cerco di essere versatile, anzi cerco semplicemente di essere Mauro Picotto.
– Impossibile non parlare di alcuni tuoi dischi come “Bakerloo Symphony”, “Ocean Whispers”, “Lizard”, “Komodo”. Qual è stato secondo te il disco che ti ha fatto svoltare davvero a livello discografico e come dj?
M.P. Sicuramente è stato “Lizard”, però anche “Bakerloo Symphony” lo ricordo come un grande traguardo, anche perchè fu il primo disco che uscì con il mio nome, quando capii che potevo camminare con le mie gambe e in barba alle visioni aziendali di chi mi diceva che bisognava puntare ancora su quei nomi o marchi già conosciuti che facevano, ad esempio, le licenze all’estero. Tornando a “Lizard”, ricordo anche che chiunque, dal meno importante al più importante, fu parecchio critico nei miei confronti dicendomi che non sarei arrivato da nessuna parte con quel disco, e invece aprì un genere musicale. Gli altri possono dire quello che vogliono ma i fatti sono questi. Ma d’altronde le stesse critiche le ricevette lo stesso Gigi D’Agostino, quando lo portai in studio a Roncadelle, ma davanti poi ai numeri molti si dovettero rimangiare le prese in giro. Anche per lui posso affermare che il grande successo che ha avuto è stata tutta farina del suo sacco.
– Poco tempo fa ti abbiamo visto giustamente irritato sui social perchè la società che detiene i diritti del vecchio catalogo della Media Records ha fatto uscire, a tua insaputa, dei tuoi vecchi dischi con dei nuovi remix con il tuo nome in copertina. Come è possibile che ancora oggi accadano queste cose nella discografia?
M.P. Diciamo che, essendo quella etichetta tedesca la proprietaria dei master, è chiaro che può fare uscire i brani e i remix che vuole, ma di sicuro non ho bisogno di queste operazioni che di artistico hanno ben poco. Poi mettiamola così, possono continuare a sfruttare i miei brani e il mio nome, bisogna poi però ricordarsi anche di pagare le royalties all’artista, perchè se le cose fossero fatte correttamente nessuno avrebbe da ridire.
– Per quanto riguarda la dance italiana, cosa invece secondo te non ha più funzionato dal 2003 in poi? I Meduza soprattutto ma non solo, sembra però che abbiano riportato finalmente un po’ di “sereno”…
M.P. Assolutamente si, questi tre ragazzi hanno davvero fatto grandi numeri e si meritano il successo ottenuto. Ci sono loro e ce ne sono diversi altri di produttori italiani giovani che possono riuscire a far tornare l’Italia protagonista per quanto riguarda la dance, anche perchè noi siamo da sempre gente creativa. Spero in una ventata di aria fresca come qui in Uk, dove sento davvero della bella musica da discoteca su Capital Dance o Kiss Fm, ad esempio. Se guardo al recente passato, purtroppo c’è stato un periodo dove la musica non era più musica, e se ci aggiungiamo che è venuto a mancare anche il business per tutta una serie di fattori è chiaro che era quasi stato toccato il fondo. Per non parlare della situazione confusa riguardo gli stessi club, a questo proposito spero che la pandemia serva a far riordinare le idee da quel punto di vista e che si riparta in un certo modo, perchè di sicuro tutti vogliono andare a ballare, personalmente penso che i live stream dei grandi dj, anche se fatti in luoghi bellissimi, servano a poco, perchè a sentire la musica da club in casa sul cellulare è una rottura di scatole, diciamocela tutta.
– Vuoi darci qualche anteprima per quanto riguarda le tue produzioni discografiche future?
M.P. Ci saranno un bel po’ di novità, ad iniziare da una produzione storica rivisitata realizzata insieme ad un dj storico della scena torinese, ovvero Raffaele Giusti. Arriverà prima la versione strumentale, tra qualche settimana, e poi la versione cantata, e addirittura anche un remix della Toolroom. In estate invece uscirà “Feel Like Home”, un disco che ho realizzato lo scorso anno e che ho tenuto in stand-by per la pandemia ma per l’estate prossima è giusto che esca perchè mi piace molto. Poi ne ho ancora un altro con una melodia in stile Abba. Roba per spaccare le casse quindi ce ne sarà molta 🙂
Grazie Luca e un saluto agli amici di Radio Emotions!
Luca “Lukagee” Giampetruzzi